In relazione alla gara indetta da un istituto scolastico per l'affidamento del servizio di assistenza specialistica a favore di alunni con disabilità, la partecipazione alla commissione giudicatrice del dirigente scolastico che ha anche assunto la veste di r.u.p. non può essere considerata illegittima, apparendo peraltro ragionevolmente giustificata, oltre che dalla modestia dell'affidamento e dal carattere di contratto sotto soglia dell'affidamento, dalla circostanza che la stazione appaltante è un istituto di istruzione nel cui organico deve supporsi non esista personale amministrativo che abbia una particolare specializzazione in materia di gare.

T.A.R. Lazio sez. I - Latina, 09/06/2018, n. 339

Nella vigenza del nuovo Codice dei contratti, ai sensi dell’art. 77, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016, nelle procedure di evidenza pubblica, il ruolo di Rup può coincidere con le funzioni di commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice, a meno che non sussista la concreta dimostrazione dell'incompatibilità tra i due ruoli, desumibile da una qualche comprovata ragione di interferenza e di condizionamento tra gli stessi.

 Consiglio di Stato Sez. III con la decisone del 26 ottobre 2018 ha chiarito che sull'argomento si sono formati due orientamenti.

Infatti, all’orientamento alla quale aderisce (Tar Veneto, sez. I, 7 luglio 2017, n. 660; Tar Lecce, sez. I, 12 gennaio 2018, n. 24; Tar Bologna, sez. II, 25 gennaio 2018, n. 87; Tar Umbria 30 marzo 2018, n. 192), se ne contrappone un secondo che ha inteso il comma 4 dell’art. 77, d.lgs. n. 50 del 2016, cogliendone il portato innovativo, rispetto alle corrispondenti e previgenti disposizioni del d.lgs. n. 163 del 2006, proprio nella scelta di introdurre una secca incompatibilità tra le funzioni tipiche dell'ufficio di RUP (o ruoli equivalenti) e l'incarico di componente e finanche di presidente della commissione.

 Ad integrazione e supporto di questa impostazione si è altresì evidenziato che la nuova regola del comma 4 è di immediata applicazione, non essendo condizionata dall'istituzione dell'albo dei commissari previsto dall'art. 77, comma 2 Tar Latina 23 maggio 2017, n. 325; Tar Brescia, sez. II, 4 novembre 2017, n. 1306). Per meglio intendere l’effetto innovativo dell’art. 77 comma 4, si consideri che l'art. 84, comma 4, dell'abrogato d.lgs. n. 163 del 2006 si limitava a sanzionare le situazioni di incompatibilità dei soli membri della commissione di gara diversi dal presidente ("i commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta"); viceversa, l'incompatibilità prevista dall’art. 77, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016 - discendente anch’essa dall'aver svolto in passato o dallo svolgere "alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta" - non fa distinzione tra i componenti della commissione di gara implicati nel cumulo di funzioni e, pertanto, si estende a tutti costoro indistintamente.

 In favore di una lettura preclusiva del cumulo di funzioni si era espressa anche l’ANAC nel primo schema delle Linee Guida n. 3 che così recitava: "il ruolo di RUP è incompatibile con le funzioni di commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice (art. 77, comma 4 del Codice)". L’indirizzo dell’ANAC è mutato nel testo definitivo delle Linee Guida (poi approvate con determinazione dell'ANAC n. 1096 del 26 ottobre 2016) rielaborato, alla luce del parere del Consiglio di Stato n. 1767 del 2016, nel senso che "Il ruolo di RUP è, di regola, incompatibile con le funzioni di commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice (art. 77, comma 4 del Codice), ferme restando le acquisizioni giurisprudenziali in materia di possibile coincidenza" (punto 2.2., ultimo periodo).

 A supporto della tesi affermata dalla Sezione milita l'indicazione successivamente fornita dal legislatore con il correttivo approvato con 19 aprile 2017, n. 56, il quale, integrando il disposto dell’art. 77 comma 4, ha escluso ogni effetto di automatica incompatibilità conseguente al cumulo delle funzioni, rimettendo all'amministrazione la valutazione della sussistenza o meno dei presupposti affinché il RUP possa legittimamente far parte della commissione gara.

 Sembra difficile negare che il correttivo normativo introdotto nel 2017 abbia svolto una funzione di ausilio ad una esegesi della disposizione che era già emersa alla luce della prima versione dell’art. 77.

Il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione da parte dei concorrenti non aggiudicatari inizia a decorrere dal momento in cui essi hanno ricevuto la comunicazione dell’aggiudicazione (anche se “non efficace”), di cui all’art.76, co. 5, lett. a), d.lgs. n.50/2016, e non dal momento, eventualmente successivo, in cui la Stazione Appaltante abbia concluso con esito positivo la verifica del possesso dei requisiti di gara in capo all’aggiudicatario.

Nel caso in questione un concorrente non aggiudicatario aveva ricevuto due comunicazioni ad esito della gara.

Nella prima comunicazione veniva comunicato alle ditte che avevano partecipato alla gara, ai sensi dell’art.76, co. 5, lett. a), d.lgs. n.50/2016, l’aggiudicazione , pur definita “senza efficacia” dalla stazione appaltante, che chiariva che l’aggiudicazione definitiva sarebbe divenuta efficace dopo la verifica dei requisiti .

Mentre nella seconda comunicazione, definita “aggiudicazione definitiva”, veniva dato atto dell’avvenuta verifica dei requisiti e quindi efficacia dell’aggiudicazione.

Il Consiglio di Stato ha chiarito che solamente dalla prima comunicazione iniziano a decorrere i 30 giorni di termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione della gara, mentre la seconda comunicazione deve essere comunque impugnata per contestare la mancata esclusione dell’aggiudicatario.

Consiglio di Stato, sez. V, 15 marzo 2019, 1710

La terza sezione Il Consiglio di Stato con la sentenza depositata in data 4 gennaio 2019 ha richiamato i principi enunciati dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 9/2014, nel senso che:

1) il soccorso istruttorio previsto dall'art. 6, comma 1, lett. b), della l. 241/1990 non costituisce un obbligo assoluto e incondizionato per l'Amministrazione;

2) con riferimento alle procedure comparative e di massa, caratterizzate dalla presenza di un numero ragguardevole di partecipanti, il soccorso istruttorio non può essere invocato, quale parametro di legittimità dell'azione amministrativa, tutte le volte in cui si configurino in capo al singolo partecipante, come nel caso di specie, obblighi di correttezza - specificati attraverso il richiamo alla clausola generale della buona fede, della solidarietà e dell'autoresponsabilità - rivenienti il fondamento sostanziale negli artt. 2 e 97 Cost., che impongono che quest'ultimo sia chiamato ad assolvere oneri minimi di cooperazione, quali il dovere di fornire informazioni non reticenti e complete, di compilare moduli, di presentare documenti;

3) in questi casi - quale è quello concernente l'assegnazione delle sedi farmaceutiche di nuova istituzione ai sensi dell'art. 11 della l. 27/2012 - l'imposizione di oneri formali a carico dei partecipanti alla procedura può essere funzionalmente correlata alla necessità di garantire il rispetto dei tempi del procedimento a salvaguardia dell'interesse pubblico primario nonché degli interessi secondari coinvolti (pubblici o privati), cosicché il divieto del formalismo incontra il limite derivante dalla particolare importanza che assume l'esigenza di speditezza e, dunque, di efficienza, efficacia ed economicità, dell'azione amministrativa;

4) il ricorso al soccorso istruttorio non si giustifica nei casi in cui confligge con il principio generale dell'autoresponsabilità dei concorrenti, in forza del quale ciascuno sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella presentazione della documentazione;

5) in definitiva, in presenza di una previsione chiara e dell'inosservanza di questa da parte di un concorrente, l'invito alla integrazione costituirebbe una palese violazione del principio della par condicio, che verrebbe vulnerato dalla rimessione in termini, per mezzo della sanatoria (su iniziativa dell'Amministrazione), di una documentazione incompleta o insufficiente ad attestare il possesso del requisito di partecipazione da parte del concorrente che non ha presentato, con le modalità previste dalla lex specialis, una dichiarazione o documentazione conforme al bando.

Illegittima la clausola del bando, là dove stabilisce un prezzo comprensivo di IVA, ponendosi invero la stessa in aperto contrasto con il disposto dell’art. 35, comma 4, del codice (d.lgs. 50 del 2016), la cui ratio è sostanzialmente finalizzata a scongiurare disparità di trattamento in favore di imprese che eventualmente possono operare in regime di IVA agevolato. Stabilisce, invero, detta disposizione che “Il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture è basato sull'importo totale pagabile, al netto dell'IVA, valutato dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore”. La disposizione, nella sua trasparenza semantica, non può infatti che essere interpretata nel senso che… il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture, debba essere basato … sull'importo totale pagabile, al netto dell'IVA.

TAR Lazio, Latina, sez. I, 13 marzo 2020, n. 110

Tale pronuncia è riferibile anche all'interpretazione dell'art. 14 comma 4 del nuovo codice (d.lgs. n. 36 del 2023) che indica quali elementi vadano ricompresi nel calcolo dell'importo stimato di un appalto di lavori, servizi e forniture. Questo deve essere basato sull'importo totale pagabile, al netto dell'IVA, che, espressamente, ricomprende tutte le opzioni e rinnovi previsti nella documentazione di gara, nonché gli eventuali premi o pagamenti stabiliti per candidati o offerenti.