Illegittima la clausola del bando, là dove stabilisce un prezzo comprensivo di IVA, ponendosi invero la stessa in aperto contrasto con il disposto dell’art. 35, comma 4, del codice (d.lgs. 50 del 2016), la cui ratio è sostanzialmente finalizzata a scongiurare disparità di trattamento in favore di imprese che eventualmente possono operare in regime di IVA agevolato. Stabilisce, invero, detta disposizione che “Il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture è basato sull'importo totale pagabile, al netto dell'IVA, valutato dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore”. La disposizione, nella sua trasparenza semantica, non può infatti che essere interpretata nel senso che… il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture, debba essere basato … sull'importo totale pagabile, al netto dell'IVA.

Tale pronuncia è riferibile anche all'interpretazione dell'art. 14 comma 4 del nuovo codice (d.lgs. n. 36 del 2023) che indica quali elementi vadano ricompresi nel calcolo dell'importo stimato di un appalto di lavori, servizi e forniture. Questo deve essere basato sull'importo totale pagabile, al netto dell'IVA, che, espressamente, ricomprende tutte le opzioni e rinnovi previsti nella documentazione di gara, nonché gli eventuali premi o pagamenti stabiliti per candidati o offerenti

TAR Lazio, Latina, sez. I, 13 marzo 2020, n. 110

Costituisce violazione dell'art. 35 comma 6 d.l.gs n. 50 del 2016 (secondo cui "un appalto non può essere frazionato allo scopo di evitare l'applicazione delle norme del presente codice tranne nel caso in cui ragioni oggettive lo giustifichino") la indizione di gare distinte e parallele da parte di strutture dipendenti da una stessa amministrazione.

Consiglio di Stato, sez. III, 21 maggio 2021, n. 3975

Tale pronuncia è riferibile anche all'interpretazione dell'odierno art. 14 comma 6 del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023) che detta l'importante divieto di frazionamento artificioso di un appalto, noncbé quello di individuazione di un metodo di calcolo dell'importo stimato, finalizzato a eludere l'applicazione delle disposizioni derivanti dal superamento delle soglie europee.

Una delle ditte partecipati alla gara veniva esclusa per aver prodotto (in violazione di esplicita norma del bando) due offerte per la medesima procedura, l’una di importo superiore a quella della aggiudicataria, e l’altra di importo inferiore. La ditta dapprima impugnava l’aggiudicazione altrui e, con motivi aggiunti, anche la sua esclusione, disposta in momento successivo.

Il Tar Lazio ha respinto il ricorso. E’ infatti risultato non contestato il fatto storico costituito dalla presentazione di due offerte recanti prezzi diversi tra di loro da parte della ricorrente, in violazione dell’art. 32, comma 4, del D.L.vo. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici), il quale dispone che “ciascun concorrente non può presentare più di un’offerta. L’offerta e’ vincolante per il periodo indicato nel bando o nell’invito e, in caso di mancata indicazione, per centottanta giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione”.

Ciò posto i giudici laziali non hanno condiviso le censure della ricorrente circa la mancata considerazione di una delle due offerte da parte della Commissione di gara, giacché la norma sopra richiamata è posta, evidentemente, a presidio della serietà dell’offerta, che deve essere tenuta ferma per una dato periodo di tempo, il che depone per la conclusione che non è data neppure alla stazione appaltante la possibilità di “scegliere” quale delle due offerte ammettere in gara, specie in relazione alle possibili pretermissioni della posizione in graduatoria dei controinteressati a seconda della “scelta” dell’una o dell’altra offerta riconducibile al medesimo concorrente: cosicché la violazione del divieto deve necessariamente comportare l’esclusione di chi l’abbia violato.

TAR Lazio, Sez. III, 11/5/2018 n. 5264

Una delle ditte partecipati alla gara veniva esclusa per aver prodotto (in violazione di esplicita norma del bando) due offerte per la medesima procedura, l’una di importo superiore a quella della aggiudicataria, e l’altra di importo inferiore. La ditta dapprima impugnava l’aggiudicazione altrui e, con motivi aggiunti, anche la sua esclusione, disposta in momento successivo.

Il Tar Lazio ha respinto il ricorso. E’ infatti risultato non contestato il fatto storico costituito dalla presentazione di due offerte recanti prezzi diversi tra di loro da parte della ricorrente, in violazione dell’art. 32, comma 4, del D.lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici), il quale dispone che “ciascun concorrente non può presentare più di un’offerta. L’offerta e’ vincolante per il periodo indicato nel bando o nell’invito e, in caso di mancata indicazione, per centottanta giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione”.

Ciò posto i giudici laziali non hanno condiviso le censure della ricorrente circa la mancata considerazione di una delle due offerte da parte della Commissione di gara, giacché la norma sopra richiamata è posta, evidentemente, a presidio della serietà dell’offerta, che deve essere tenuta ferma per una dato periodo di tempo, il che depone per la conclusione che non è data neppure alla stazione appaltante la possibilità di “scegliere” quale delle due offerte ammettere in gara, specie in relazione alle possibili pretermissioni della posizione in graduatoria dei controinteressati a seconda della “scelta” dell’una o dell’altra offerta riconducibile al medesimo concorrente: cosicché la violazione del divieto deve necessariamente comportare l’esclusione di chi l’abbia violato.

Tar Lazio, sez. III,  11/05/2018, n. 5264

Viene impugnato il bando per la gestione del servizio di punto ristoro e concessione per l’uso temporaneo degli spazi ad esso destinati posti all’interno della sede di un Istituto d’Istruzione Superiore. Ovvero, veniva chiesto l’annullamento del bando per violazione di legge contestando l’espletabilità della gara per la sussistenza di un rapporto concessorio con vincolo di esclusiva tra la ditta ricorrente e la stessa amministrazione scolastica. Parimenti, viene ravvisato dal ricorrente il vizio dell’eccesso di potere per il fatto che la gara presenti caratteri tali da far pensare di essere frutto di un personale accanimento e di una personale iniziativa del dirigente scolastico, qualificata come vessatoria ed arbitraria.

Alla ditta ricorrente era stato in precedenza locato l’immobile al solo scopo di esercitarvi attività di commercio e destinato a contenere sostanze alimentari riguardanti il bar a servizio della scuola. Era prevista la durata di sei anni con l’ulteriore previsione del rinnovo tacito alla scadenza del contratto, di sei anni in sei anni, salvo disdetta da formalizzare a mezzo raccomandata A/R entro dodici mesi prima della scadenza; inoltre l’amministrazione scolastica si impegnava a non locare altri spazi, nell’ambito del perimetro scolastico per l’esercizio di attività analoghe. In tal senso si poneva in essere l’illegittimità dell’indizione di gara in quanto il contratto si sarebbe rinnovato non essendo pervenuta alcuna formale disdetta. 

Tale ricorso è stato rigettato. 

Sono valide le clausole che prevedano un rinnovo tacito e indefinito del contratto?

A prescindere dall'effettività di una clausola di "esclusività", una clausola contrattuale che preveda un rinnovo tacito del contratto per ulteriori periodi, di numero potenzialmente indefinito, è da considerare nulla per violazione di norme imperative. Tale divieto, posto dall'art. 6, comma 2, della legge 24/12/1993, n. 537 e poi dalla legge n. 62 del 2005, è ritenuto espressione "di un precetto di portata generale in base al quale il rinnovo dei contratti pubblici scaduti deve essere considerato alla stregua di un contratto originario, necessitante della sottoposizione ai canoni dell'evidenza pubblica, atteso che "la procrastinazione meccanica del termine originario di durata di un contratto ha l'effetto di sottrarre in maniera intollerabilmente lunga un bene economicamente contendibile alle dinamiche fisiologiche del mercato" (Tar Campania, sez. II, 2 ottobre 2019, n. 1297). 

Si palesa dunque affetta da nullità la disposizione del contratto, stipulato nella sua vigenza, che prevede il tacito rinnovo, non potendo l'accordo negoziale andare di contrario avviso rispetto ad una precisa ed imperativa disposizione di legge. Né, a fronte di tale divieto imperativo, il fatto di aver continuato a percepire, dopo la scadenza del contratto, i canoni di fitto determina un legittimo affidamento circa l'avvenuto rinnovo tacito del contratto. Come ricordato dalla giurisprudenza amministrativa, il divieto di rinnovo tacito nei contratti pubblici si salda con il principio comunitario secondo cui il “rinnovo” o la “proroga” sono considerati alla stregua di contratti ex novo, necessitanti dell’espletamento di procedure di evidenza pubbliche in assenza delle ipotesi eccezionali che autorizzano il ricorso alla procedura negoziata. Il “rinnovo tacito” non è che una forma di trattativa privata che esula dalle ipotesi ammesse dal diritto comunitario (Tar Sicilia, sez. IV, 16 aprile 2018, n.758).

In quali casi ricorre il vizio di sviamento di potere?

Ricorre il vizio di sviamento di potere quando il pubblico potere viene esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso, ovvero quando l'atto posto in essere sia stato determinato da un interesse diverso da quello pubblico. Tuttavia, in sede processuale si richiede che la censura sia supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dare conto delle divergenze dell'atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo sufficienti mere supposizioni od indizi, che non si traducano nella dimostrazione dell'illegittima finalità perseguita in concreto dall'Amministrazione (Tar Lombardia, sez. II, 15 aprile 2020, n. 632).

Non tutte le circostanze “solite del caso” paiono indizi idonei a configurare lo sviamento di potere. Ad esempio, non può a priori ritenersi fondata la “deviazione della finalità” dalla divergenza di vedute tra Dirigente Scolastico e Consiglio di Istituto (soprattutto se riguardante la validità del rapporto contrattuale in essere), quanto non è un elemento di prova l’indizione della gara in prossimità del collocamento in quiescenza del dirigente scolastico (di per sé costituente un dato assolutamente neutro), quanto ancora l'aver consentito la messa in esercizio di macchine automatiche erogatrici di bevande e prodotti alimentari nelle more del rapporto contrattuale o le questioni in ordine alla validità di quest'ultimo (fatti del tutto ultronei rispetto alla controversa gara) (Tar Calabria, sez. I, Catanzaro, 12 settembre 2020, n. 1447).