Con la legge delega n. 144/2025 il Parlamento ha scelto di dettare linee guida e principi generali, lasciando al Governo il compito di definire i dettagli attuativi. Si tratta di una scelta politica che coniuga flessibilità e responsabilità: non un “salario minimo legge”, ma l’affermazione di un vincolo normativo nei processi retributivi attraverso la contrattazione collettiva.
Ciò consente un margine di adattamento secondo le particolarità settoriali e territoriali — ma al tempo stesso impone al Governo di tradurre i principi in norme tempestive e chiare, pena ritardi o conflitti interpretativi.

La norma definisce come finalità principali:

  1. Garantire retribuzioni giuste e proporzionate, in coerenza con l’art. 36 della Costituzione, che sancisce il diritto ad una retribuzione sufficiente per assicurare dignità e una esistenza libera e dignitosa.

  2. Contrastare il lavoro sottopagato e le pratiche di dumping contrattuale, vale a dire l’uso di contratti con retribuzioni inferiori ai minimi legittimi per ottenere un vantaggio competitivo sleale.
  3. Rafforzare la contrattazione collettiva nazionale, facendo in modo che i contratti più applicati diventino benchmark binding anche per i lavoratori che non siano direttamente coperti da essi.
  4. Stimolare il rinnovo contrattuale tempestivo e la contrattazione di secondo livello con funzioni adattative, come auspicato nelle intese aziendali o territoriali, in funzione delle esigenze locali, pur nel rispetto dei vincoli stabiliti.

In pratica, non si istituisce un salario minimo universale, bensì si rafforza il sistema dei minimi contrattuali a livello nazionale, estendendo la loro efficacia.

  1. Individuazione dei contratti “maggiormente applicati”
    Stabilire quali CCNL possano essere considerati prevalenti è un nodo cruciale: il criterio di “maggiore applicazione” rischia di favorire contratti più “leggeri” o meno tutelanti. Alcuni critici avvertono un pericolo di abusi, con imprese che tenteranno di applicare i contratti più favorevoli a loro stesse.
  2. Delega e margine discrezionale del Governo
    La legge delega lascia ampi margini di discrezionalità nelle scelte attuative. Se i decreti attuativi non saranno rigorosi e trasparenti, l’obiettivo di equità salariale rischia di rimanere sulla carta.
  3. Velocità e coordinamento

    Il termine di sei mesi per l’adozione dei decreti è stretto. È fondamentale che il Governo lavori con urgenza e coinvolga le parti sociali per evitare buchi normativi o conflitti interpretativi.

  4.  Impatto sulle imprese e il mercato del lavoro
    Se i nuovi minimi contrattuali diventeranno vincolanti anche per aziende non sindacalizzate, alcune imprese – soprattutto micro e piccole imprese – potrebbero manifestare difficoltà di adeguamento, specie in settori in crisi o con margini ridotti.

  5. Controlli e trasparenza
    La legge delega prevede l’istituzione di procedure di controllo e informazione per contrastare l’evasione contributiva e le retribuzioni sotto soglia. Ma l’efficacia di queste misure dipenderà dalla qualità degli strumenti (ispezioni, sanzioni, banche dati).

Con la legge delega 144/2025 l’Italia entra in una fase di riforma strutturale del sistema retributivo. L’obiettivo dichiarato è garantire retribuzioni dignitose e contrastare il dumping contrattuale, ma il vero banco di prova sarà l’attuazione concreta: la qualità dei decreti, la trasparenza nella scelta dei CCNL maggiormente applicati, l’efficacia dei controlli e la protezione delle imprese che dovranno adeguarsi.

Se ben disegnata, questa riforma potrà rafforzare la contrattazione e introdurre un sistema più equo; se mal gestita, rischia di produrre distorsioni e contenziosi. Il cammino nei prossimi sei mesi sarà decisivo.