È la storia, vecchia di qualche anno, di un insegnante, maestro elementare, che approfittando della sua qualità, ha arrecato gravi molestie sessuali alle allieve sia durante l'attività scolastica che al di fuori di essa, ledendo in modo gravissimo l'immagine della P.A., rapportata al "disdoro" subito sia dalla comunità sociale genericamente intesa sia verso gli utenti del servizio (genitori e bambini). La Corte dei conti, giudice della responsabilità amministrativa, nella fattispecie ha determinato l'entità del risarcimento con riferimento alla dimensione della lesione e non alle spese di "ripristino" dell'immagine pubblica. Pertanto, i riferimenti alla fattispecie delittuosa sono relativi al procedimento penale che in quel momento era già concluso.
La vicenda, infatti, è stata oggetto di procedimento penale, conclusosi con il rito cosiddetto patteggiato: condanna alla pena di anni tre e mesi sei per i reati di cui agli artt. 609 bis, 609 ter u.c., 609 quater, 609 septies n. 2 e 5 - violenza e atti sessuali su minori - e 527 c.p. - atti osceni.
Partiamo dal fatto che, ai fini della sussistenza della responsabilità amministrativa, ciò che rileva è la violazione degli obblighi di servizio desumibile dagli atti di causa a prescindere dall'esito e dalla qualificazione penale del fatto.Pertanto, il docente, quale dipendente pubblico, per non arrecare danno erariale deve adempiere ai doveri di servizio e, durante l'orario di lavoro, deve improntare il proprio comportamento al fine di mantenere nei rapporti interpersonali con gli utenti condotte uniformate a correttezza, astenendosi da qualsiasi lesione della dignità della persona. Èevidente che, durante l'orario di lavoro, non è possibile dedicarsi ad occupazioni non attinenti al servizio né possono essere chieste o accettate, a qualsiasi titolo, utilità personali in connessione con la prestazione lavorativa.
Nel caso in esame sono emersi particolari raccapriccianti relativi a gravi molestie arrecate sia durante l'attività scolastica che al di fuori di essa nei confronti di bambine. Sono state rinvenute videocassette che i delegati all'indagine hanno trovato nella sua abitazione. Nelle dichiarazioni spontanee rese ai Carabinieri il docente affermava che “per ciò che concerne le molestie sostengo di non aver mai fatto nulla contro la volontà di alcuno né di avere mai usato violenza”.
Affermava di aver avuto atteggiamenti espansivi che “sono piaciuti ai bambini e consistevano in abbracci d'affetto, baci dati sulle guance, palpazioni al seno”.
Queste dichiarazioni sono sconcertanti e sufficienti ad inquadrare il comportamento contrario ai doveri di servizio mantenuto dall'insegnante, comportamento ripetuto negli anni. Nel corso del giudizio penale è stata data prova che le bambine hanno subito ripetute molestie, come pure è stata data prova di episodi avvenuti anche al di fuori del plesso scolastico.
Nelle dichiarazioni rese dall’insegnante è emersa una sorta di sudditanza psicologica anche per la capacità che lo stesso dimostrava di ritrarsi al minimo accenno di dissenso, immediatamente trasformandosi in vittima e ponendo le bambine in una situazione di ancor più grave soggezione, colpevolizzate dal fatto di dispiacere il maestro. Ciò potrebbe spiegare perché per tanti anni l'abitudine malsana dell'insegnante è rimasta coperta ed impunita.
Le bambine di età compresa tra i 6 e i 9 anni hanno raccontato gli episodi avvenuti con “L.” - nome confidenziale con il quale erano solite chiamare l'insegnante - il quale aveva escogitato vari giochi, tra cui il gioco della “bella addormentata” con la variante “ingegnere e macchina” con i quali, a suo dire, i bambini si divertivano.
Le bimbe hanno raccontato di “cose fastidiose” accadute in classe; oppure che, quando venivano chiamate alla cattedra, per la correzione dei compiti L. toccava le loro parti intime.
L’insegnante è stato arrestato il 12 giugno 2003 ed è stato condannato a tre anni e mezzo di carcere, scontati agli arresti domiciliari in una comunità per disagiati sociali.
Successivamente è stato destituito il 5 novembre 2004 a seguito di sentenza irrevocabile dopo aver insegnato per 35 anni.
Gli atti di causa hanno confermato un reiterato comportamento in spregio palese dei propri doveri di servizio, comportamento che non può trovare giustificazioni in nuove o vecchie correnti psicologiche o di pensiero.
Nella nota inviata al Procuratore l'insegnante ha rivendicato quale proprio merito il fatto che la scuola di titolarità sia diventata un centro di documentazione della microstoria locale; ha affermato che quello che è accaduto è stato un fulmine a ciel sereno. Ha scelto il patteggiamento per evitare traumi alle alunne e ha vissuto in una comunità che raccoglie “pietre di scarto”. Da tutto ciò è emersa la volontà di descrivere la propria personalità connotata da un alto profilo culturale conformata da quella che definisce la “periferia pedagogica” all'interno della quale potrebbero trovare spazi atti a giustificare l'atteggiamento mantenuto con gli alunni. Ovviamente ha utilizzato tali considerazioni per indurre i giudici ad una riduzione della richiesta di risarcimento del danno.
Ma i giudici sono stati di diverso avviso ritenendo che il comportamento dell'insegnante ha dimostrato semplicemente che per anni egli ha volontariamente arrecato molestie di tipo sessuale su bambini i quali, se si sono “mostrati consenzienti”, lo hanno fatto solo per mero timore reverenziale e soggiogati dalla spiccata personalità del maestro.
Da questo comportamento è sicuramente derivata una gravissima lesione all'immagine della Pubblica Amministrazione rapportata al “disdoro” subito sia dalla comunità sociale genericamente intesa - la piccola dimensione del Comune in questo caso ha aggravato la situazione - sia verso gli utenti del servizio che, nel caso che ci occupa erano rappresentati dai tantissimi genitori e soprattutto dai bambini della scuola elementare e, dunque, da “utenti deboli” per definizione, per i quali la struttura scolastica è rimasta per lungo tempo identificata come luogo nel quale gli educatori potevano abusare dei bambini.
Ne è derivato, pertanto,un grave danno all'immagine avendo l’insegnante violato regole basilari di comportamento facilmente percepibili nella loro censurabilità da chiunque. Relativamente alla quantificazione del danno, l'esatta determinazione dei costi per il loro ripristino non è stata oggetto di una precisa determinazione, avendo la corte ritenuto che qualsiasi spesa sostenuta dall'Amministrazione, in quanto funzionalizzata al buon andamento ed all'imparzialità, abbia perciò stesso concorso al mantenimento ed alla elevazione dell'immagine dell'Amministrazione medesima.
Nel caso che ci occupa avrebbe potuto essere considerato, secondo i giudici, quale elemento specifico di valutazione, il danno materiale derivante non solo alla scuola del Comune ma anche a quelle delle zone limitrofe e rappresentato un deterrente nella scelta delle scuole pubbliche rispetto a quelle private.
In ogni caso, in ossequio alla giurisprudenza ampiamente consolidata, l'entità del risarcimento è stata determinata con riferimento alla dimensione della lesione e non con riferimento a somme specificamente spese per il "ripristino" dell'immagine pubblica, somme che, difficilmente individuabili, non potevano realisticamente ritenersi di per sé sole sufficienti al ripristino dell'immagine lesa. Da questo punto di vista, pertanto, il danno all'immagine, certo nella sua ontologica esistenza, è rimasto affidato, quanto alla sua determinazione, alla "valutazione equitativa del giudice", così come previsto dall’art.1226 c.c., secondo la costante giurisprudenza in proposito.
Le conseguenze punitive sono derivate dal comportamento di un insegnate elementare al quale i genitori hanno affidato i loro figli nella consapevolezza di lasciarli in un ambiente altamente protetto e ad un educatore molto conosciuto e stimato con un alto grado di affidabilità.
I giudici hannovalutato quale conseguenza della grave riprovevolezza del comportamento del convenuto: l'aver usato violenza su minori nella più grave forma della molestia sessuale esercitata in modo subdolo e favorita dalle mansioni specifiche alle quali il soggetto era preposto; il disonorevole comportamento per aver abusato del proprio ruolo; la risonanza che l'intera vicenda ha avuto sulla stampa, il danno subito dalla piccola comunità che tanta fiducia aveva riposto in quell'educatore; il grave danno subito dalla Istituzione “Scuola”. Davanti al giudice amministrativo il danno all’immagine della scuola è stato valutato in via equitativa nella somma di euro 20.000.
Tale conclusione è stata determinata dalla considerazione, contrariamente a quanto sostenuto dal Pubblico Ministero, che non è stata desunta dalla lettera dell’insegnante né da una richiesta di clemenza, né da un atto di ravvedimento, bensì dalla consapevolezza della gravità di quanto accaduto ammantato da spunti culturali costituenti meri argomenti difensivi atti a diminuire l'entità del danno.
Lascio ai docenti ulteriori considerazioni di merito sugli spazi della libertà professionale del docente non regolata dalla norma, ma, cosa ancora più grave, neanche da un patto professionale, da un codice di comportamento condiviso e responsabilizzante.