Con la sentenza del 3 luglio 2025 (causa C-268/22), la Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata su una questione centrale nel dibattito sul precariato scolastico: l’esclusione dei docenti con supplenze brevi dal beneficio della cosiddetta “Carta del docente”. Si tratta di una somma pari a 500 euro annui, erogata sotto forma di carta elettronica, destinata all’aggiornamento professionale e alla formazione continua del personale docente. Attualmente, la normativa italiana riconosce tale beneficio esclusivamente ai docenti di ruolo e, dal 2023, anche ai docenti non di ruolo con incarico annuale o fino al termine delle attività didattiche. Restano esclusi, invece, i supplenti brevi e saltuari, nonostante svolgano mansioni identiche a quelle dei colleghi destinatari del bonus.
La questione è giunta dinanzi alla Corte di giustizia dell’UE grazie a un ricorso promosso da una docente precaria, esclusa dalla carta elettronica pur avendo svolto attività didattica con incarichi temporanei. La Corte è stata chiamata a interpretare la clausola 4, punto 1, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 1999, allegato alla Direttiva 1999/70/CE, che vieta ogni discriminazione ingiustificata tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato. Secondo questa disposizione, ogni differenza di trattamento tra le due categorie di lavoratori deve essere fondata su ragioni oggettive.
Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che la normativa italiana, così come interpretata dalla giurisprudenza nazionale, non rispetti tale principio. In particolare, ha escluso che la sola brevità della supplenza possa costituire, di per sé, una ragione oggettiva idonea a giustificare l’esclusione dal beneficio. La Corte ha affermato con chiarezza che l’elemento decisivo non può essere la durata del contratto, bensì la natura e il contenuto delle mansioni svolte, che nel caso dei supplenti brevi sono del tutto assimilabili a quelle dei docenti di ruolo.
Si tratta di una pronuncia destinata ad avere un impatto rilevante sia sul piano giurisprudenziale che politico. In primo luogo, rafforza il principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori precari, riconoscendo il diritto alla parità di trattamento in relazione a strumenti di valorizzazione professionale. In secondo luogo, impone un obbligo al legislatore e alle autorità amministrative italiane di adeguarsi, rivedendo le regole di accesso alla Carta del docente per includere anche i supplenti brevi, salvo che lo Stato non riesca a dimostrare in modo puntuale e rigoroso l’esistenza di motivazioni oggettive, ad oggi non esplicitate.
Dal punto di vista operativo, la sentenza legittima i docenti esclusi a presentare istanze di accesso al beneficio e, in caso di diniego, a ricorrere in giudizio presso il tribunale del lavoro, invocando direttamente il diritto dell’Unione. Come ribadito dalla Corte, il giudice nazionale ha l’obbligo di disapplicare la normativa interna incompatibile con il diritto europeo, anche in presenza di interpretazioni vincolanti da parte della giurisprudenza nazionale.
L’orientamento della Corte di giustizia si inserisce in una linea giurisprudenziale consolidata volta a contrastare il precariato strutturale nella pubblica amministrazione, in particolare nel settore scolastico, dove il ricorso reiterato a contratti a termine rappresenta ormai una prassi consolidata. Questa decisione conferma che l’Unione europea non è indifferente alla condizione di migliaia di lavoratori precari che, pur svolgendo le stesse mansioni dei colleghi di ruolo, continuano a subire discriminazioni nell’accesso a diritti e benefici fondamentali.
In conclusione, la sentenza del 3 luglio 2025 non si limita a riconoscere un diritto economico; afferma un principio di dignità del lavoro, richiamando lo Stato a garantire un trattamento equo e coerente per tutti i docenti, indipendentemente dalla durata dei loro contratti. Si tratta di un passo avanti significativo nella tutela dei diritti del personale scolastico e nella costruzione di una scuola più giusta e inclusiva.