La questione relativa alla legalità del “sequestro” del cellulare da parte degli insegnanti presenta numerosi aspetti controversi. È indubbio, come detto, che gli studenti possano essere sanzionati per l'uso di dispositivi elettronici in classe, ma è altrettanto fondamentale considerare quali limiti debbano essere rispettati in tali circostanze.

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha sottolineato nelle varie circolari emanate nel corso degli anni la necessità di includere nei regolamenti d’istituto sanzioni adeguate, tra cui il ritiro temporaneo del cellulare in caso di uso improprio. Tuttavia, questo "sequestro" deve essere temporaneo e giustificabile solamente in presenza di un concreto utilizzo del telefonino durante le ore di lezione, escludendo casi in cui il dispositivo sia spento o silenziato.

È importante ricordare che il cellulare è un bene di proprietà dell’alunno, e le limitazioni alla proprietà privata sono ammissibili solo nei casi previsti dalla legge, come stabilito dagli articoli 42 e 13 della Costituzione italiana. Pertanto, le direttive ministeriali e i regolamenti scolastici non possono considerarsi equivalenti alla legge in quanto tali e non legittimano il sequestro del cellulare.

Per quanto riguarda il quadro giuridico, la disciplina del sequestro è regolata dalle norme del diritto penale, in particolare dall’articolo 354, comma 2, del codice di procedura penale, che consente l’azione di sequestro solo in determinati contesti, ovvero quando vi è il rischio di alterazione o dispersione delle prove di un reato. Nel caso di illeciti amministrativi, l’articolo 13 della legge 689/1981 prevede che il pubblico ufficiale possa eseguire il sequestro cautelare solo in situazioni specifiche, pertanto la situazione di un insegnante che ritira un telefonino non rientra in questa categoria.

In caso di furto o di un atto violento, il docente può giustificare un eventuale ritiro del telefono solo per proteggere la sicurezza degli alunni coinvolti, come stabilito dall’articolo 54 del codice penale. Sebbene in situazioni di flagranza di reato possa sembrare opportuno intervenire, è possibile invitare l’alunno a restituire l’oggetto rubato piuttosto che procedere con una perquisizione o, in alternativa, coinvolgere le forze dell’ordine.

In ogni caso, il docente non ha l'autorità di perquisire l'alunno o i suoi effetti personali, un aspetto sottolineato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 47183 del 27/11/2013, che ha condannato un’insegnante per aver effettuato perquisizioni sui propri alunni. Tale comportamento, infatti, configura una violazione dei diritti fondamentali degli studenti e potrebbe comportare responsabilità penali per il docente.

Pertanto, non vi è giustificazione legale per un docente che sequestri un cellulare. La protezione dei diritti individuali degli studenti è essenziale e ogni azione intrapresa deve avvenire nel rispetto delle normative vigenti, per evitare qualsiasi rischio di denuncia per appropriazione indebita o abuso d’ufficio.

Pietro Netti su Dirigere la scuola n. 2-2025