L'art. 10, comma 1, legge n. 300/1970 - che regolamenta la problematica dei lavoratori studenti - non delinea un diritto assoluto o comunque tale da obbligare il datore di lavoro a garantire al lavoratore la possibilità di esercitarlo, ma si limita solamente ad individuare un diritto che va contemperato con le esigenze organizzative del datore di lavoro. È conseguentemente legittimo il licenziamento di un lavoratore, solitamente adibito a commesse estere, che ne abbia rifiutato una in India richiamando la necessità di frequentare un Master Universitario a cui si era iscritto
Secondo l'interpretazione costantemente avvallata della giurisprudenza dell'art. 10 legge n. 300/1970, non discende un diritto assoluto ed incomprimibile, tale da precostituire un vero e proprio obbligo del datore di lavoro di garantire al lavoratore la possibilità di esercitarlo; ne discende invece, più semplicemente, un diritto che va contemperato con le esigenze organizzative del datore di lavoro.
In altri termini, nel caso in questione l'art. 10 l. 300/1970 sia ben lungi dall'individuare un diritto soggettivo assoluto allo studio ma preveda piuttosto a tutela del lavoratore "il diritto al turno agevolante, finalizzato alla partecipazione all'attività didattica" (Così come sostenuto da Cassazione civile n. 12265 del 1995). La stessa Corte di Cassazione ha sottolineato come il diritto allo studio del lavoratore debba essere contemperato con gli opposti interessi del datore di lavoro e come si debba valutare l'incidenza che il diritto allo studio ha sull'organizzazione aziendale e sulle esigenze lavorative. In particolare, la concessione dei benefici previsti dall'art. 10 può essere prevista solo nel caso in cui essa non comporti un grave pregiudizio per il datore di lavoro.
In tale ottica, la Suprema Corte ha affermaRO che il legislatore, nel proposito di contemperare gli opposti interessi dell'imprenditore e dei lavoratori - ai quali per precetto costituzionale (art. 34 Cost.) deve essere assicurata la possibilità di elevazione sociale attraverso lo studio - ha inteso limitare a ben determinate categorie di lavoratori impegnati nello studio i benefici relativi ai turni di lavoro ed alle prestazioni straordinarie, di cui al primo comma dell'art. 10, tenendo conto dell'incidenza sull'organizzazione del lavoro della concessione di tali benefici (che non potrebbe essere generalizzata senza grave pregiudizio per l'imprenditore); con il secondo comma dello stesso articolo ha invece riservato a tutti i lavoratori che intendono dedicarsi allo studio la possibilità di affrontare, senza remore di ordine economico, gli esami per conseguire titoli di studio riconosciuti dall'ordinamento scolastico statale. Nelle due disposizioni richiamate il diritto allo studio dei lavoratori entra quindi in considerazione sotto profili sostanzialmente diversi, rilevando specificamente solo nel primo comma dell'art. 10 la garanzia del diritto alla frequenza dei corsi (cfr. Cassazione civile n. 52 del 1985)….".
Significative conferme in tal senso provengono anche da quella giurisprudenza di merito espressasi in tema di contrasto tra l'esercizio del diritto allo studio e le esigenze aziendali in tema di orario di lavoro. Si è a tal proposito osservato come il dovere di agevolare gli studenti lavoratori comporti per il datore di lavoro l'obbligo di adibirli ad avvicendamenti adatti alle loro esigenze, nell'ambito tuttavia degli orari già previsti nell'organizzazione aziendale, non già di creare turni particolari o "personalizzati", fino al punto da modificare la preesistente distribuzione dell'orario e di sopportare costi economici ed organizzativi troppo elevati (cfr. Pret. Milano 27 aprile 1991, in R.C.D.L., 1992, pag. 195; Tribunale Milano, 18 giugno 1988, in R.I.D.L., 1989, II, pag. 456). Si tratta di principi che confermano la natura relativa del diritto in rapporto alle esigenze organizzative del datore di lavoro.